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VIDEO • “Uno psicologo nei lager” di Viktor E. Frankl

videoregistrazione della presentazione del libro

Uno psicologo nei lager
di Viktor E. Frankl

svoltasi il 31 gennaio 2025 presso Peregolibri, Barzanò (LC)
con Cesare Cornaggia (Psichiatra) e Ubaldo Casotto (Giornalista e scrittore)


Appunti della serata

Negli interventi dei due relatori Ubaldo Casotto (giornalista e scrittore) e Cesare Maria Cornaggia (psichiatra), si sottolinea come l’esperienza umana necessiti di significato e senso per esistere e non rinunciare a sé stessi. L’evento esplora il tema della libertà e la capacità di scelta tra il bene e il male.

Casotto spiega il suo interesse per il libro di Frankl, nato da un sentimento di vergogna per non averlo conosciuto prima. Colpisce la frase di Frankl che descrive l’umano come un’amalgama di bene e male, scritta dopo aver vissuto in quattro campi di concentramento. Casotto interroga Cornaggia sul motivo di citare Frankl a distanza di 80 anni e su come il lager, luogo di orrore, possa essere anche un luogo di scoperta del bene nell’uomo.

Cornaggia risponde partendo dalla sua personale reazione alla frase di Frankl sull’amalgama di bene e male, collegandola all’affermazione di Etty Hillesum che “la realtà è buona”. Nel lager, nonostante l’omologazione e la perdita di identità, alcuni individui dimostrano la capacità di comportarsi diversamente, recuperando una dimensione di sé. Frankl parla di “ultima libertà umana”, ovvero la capacità di affrontare spiritualmente la situazione imposta. Cornaggia si interroga su quale sia la situazione imposta nella vita di ognuno e se la felicità dipenda dalle circostanze o da una forza interiore irriducibile.

Casotto introduce una citazione di Freud che nel lager le differenze individuali svaniscono. Cornaggia riporta l’esperienza di una giovane donna nel lager che si dice grata al suo destino per averla colpita duramente, perché nella sua vita borghese era viziata. Si parla della creatività della sofferenza e di come il vuoto, la perdita, possano diventare luoghi di incontro e relazione. Si cita Simone Weil e Pasolini per illustrare il concetto di vuoto come spazio di attesa e domanda. Si sottolinea che la sofferenza non è positiva di per sé, ma può contenere una ricchezza interiore. Si introduce il concetto che spesso si guarda alla realtà focalizzandosi su ciò che manca anziché su ciò che c’è, e che guardare la realtà porta a chiedersi da dove essa proviene.

Si passa poi al tema dell’apatia e dell’indifferenza come conseguenze del lager. Si evidenzia come oggi si persegua l’ideale di non lasciarsi scalfire dalla realtà, e il cinismo diventa una difesa dal nichilismo. Cornaggia sottolinea l’importanza del tempo, un elemento essenziale per il senso della vita. La perdita del futuro porta alla perdita del senso. Si distingue tra la fine (termine) e il fine (scopo), sottolineando come senza fine resti solo la fine.

Si discute su come la responsabilità sia spesso confusa con la capacità di controllo. Si parla dell’ansia di controllo e di come essa renda irresponsabili verso la realtà, gli altri e se stessi. Il controllo è un’illusione che nasce dal desiderio di non avere limiti o differenze. Cornaggia evidenzia come la patologia del controllo sia diffusa, come negli attacchi di panico, legati al terrore di perdere il controllo. La responsabilità nasce dal rispondere in prima persona. Viene raccontato un episodio in cui un’insegnante non risponde direttamente alla disperazione di una ragazzina, delegando la risposta allo psicologo. Cornaggia parla delle “professioni deabilitanti”, che impediscono agli individui di rispondere in prima persona alle sofferenze degli altri. Si cita Don Giussani, che esorta i preti ad essere prima di tutto uomini, capaci di condividere le esperienze umane.

Si torna sul tema della frustrazione esistenziale, evidenziando che l’interesse per l’utilità della vita e della sofferenza è una preoccupazione esistenziale. Si descrive come nel lager chi si lasciava andare, si lasciava morire, mentre chi resisteva mostrava la dignità dell’uomo nella decisione della sua libertà. Il lavoro di chi si occupa delle sofferenze altrui è quello di muovere la libertà dell’altro.

Si sottolinea che il nichilismo è l’assenza di significato, non l’assenza delle cose. Ci si interroga su come la logoterapia, fondata sul significato, possa integrarsi con una visione materialista e scientifica della cura. Si parla del disagio esistenziale del nostro tempo. Si affronta il tema della delusione di chi torna dal lager e non riesce a comunicare la propria esperienza. È importante essere capaci di accogliere l’indicibile dell’altro. Il tempo è decisivo per la comprensione e la maturità. È importante prendersi tempo con l’altro, condividendo la domanda e l’attesa. La felicità non dipende dalle circostanze, ma da quanto si è dentro alla realtà, dal cogliere il significato di ciò che avviene. L’uomo è un essere che decide ciò che è, capace sia di abbassarsi al livello degli animali sia di innalzarsi alla vita santa. Infine, si ricorda la bellezza di un tramonto visto dai prigionieri nel lager.

(© Centro Culturale Charles Péguy)